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Lo sciopero di Paola

«Pubblico, vogliamo parlarti chiaro».
[dall’editoriale del primo numero del Corriere della Sera, del 5 marzo 1876]

 

Così apre la pagina facebook del primo quotidiano italiano.

Lo stesso quotidiano che ha fatto sì che una sua giornalista, Paola Caruso, dopo sette anni di collaborazione a precariato, e almeno 386 articoli accessibili a suo nome sul sito online del Corriere, si sentisse talmente esasperata dalla sua condizione di precaria che finisce sempre in fondo alla coda, da iniziare uno sciopero della fame il 13 novembre.

Questo è quello che Paola scrive nel suo blog:

“Sciopero della fame e della sete, dopo le prime 24 ore. La novità è che ho bevuto. Mi hanno convinto gli amici, ma vado avanti con lo sciopero della fame.

Per chi mi ha chiesto i motivi della protesta ecco qualche dettaglio. Spero di essere chiara: al momento sono un po’ cotta e parecchio stanca.

La storia è questa: da 7 anni lavoro per il Corriere e dal 2007 sono una co.co.co. annuale con una busta paga e Cud. Aspetto da tempo un contratto migliore, tipo un art. 2. Per raggiungerlo l’iter è la collaborazione. Tutti sono entrati così. E se ti dicono che sei brava, prima o poi arriva il tuo turno. Io stavo in attesa.

La scorsa settimana si è liberato un posto, un giornalista ha dato le dimissioni, lasciando una poltrona (a tempo determinato) libera. Ho pensato: “Ecco la mia occasione”. Neanche per sogno. Il posto è andato a un pivello della scuola di giornalismo. Uno che forse non è neanche giornalista, ma passa i miei pezzi.

Ho chiesto spiegazioni: “Perché non avete preso me o uno degli altri precari?”. Nessuna risposta. L’unica frase udita dalle mie orecchie: “Non sarai mai assunta”.

Non posso pensare di aver buttato 7 anni della mia vita. A questo gioco non ci sto. Le regole sono sbagliate e vanno riscritte. Probabilmente farò un buco nell’acqua, ma devo almeno tentare. Perché se accetto in silenzio di essere trattata da giornalista di serie B, nessuno farà mai niente per considerarmi in modo diverso.”

Non ci sono parole adeguate per commentare la situazione.

Qualcosa però si può fare, per Paola, per la sua scelta coraggiosa e rischiosa, e per tanti come lei che vengono ogni giorno presi per la gola dalle aziende che sfruttano il precariato con la scusa del blocco delle assunzioni, diventato ormai una voce di profitti, per poi assumere l’ultimo arrivato, alla faccia di chi si è fatto il mazzo per anni e anni guadagnando miserie, e mettendo a disposizione le sue esperienze e conoscenze.

Si può far conoscere questa storia. Far sì che queste vergogne escano fuori, diventino visibili.

E’ quello che sto provando a fare. Fatelo anche voi.